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Il jazzista è uno che affronta la vita con coraggio ed in questo io mi ci riconosco a pieno.
Lo abbiamo incontrato in questa occasione:
Jazz a barattowave con Roberto Casi e Michela Cartocci
Ci siamo incuriositi di questo "intermezzo" musicale offerto
gratuitamente ai barattori e abbiamo fatto a Roberto alcune domande sul jazz.
Cosa rappresenta per te il Jazz?
Grazie di queste domande...perché vedi, molte volte basta una domanda per
sciogliere un pregiudizio.
Il jazz è il paradigma della vita...cioè l'espressione d'arte più vicina
all'organizzazione che si da al vivere,cioè: improvvisare salvandosi la vita.
Nel jazz il tema è il progetto di vita.
Tu hai un progetto e hai un idea di come realizzarla, poi nel corso della vita..sdeng!...un
incidente di percorso ti ostacola il cammino.
Cosa fai butti tutto? Se butti tutto non sai accettare la vita ed è come dire
che se non sai oltrepassare l'errore nello svolgimento del tuo tema jazz,cioè
non sai suonare.
Così ti armi di coraggio e vai oltre. Se lo fai nel jazz lo farai nella vita, se
lo fai nella vita lo farai nel jazz.
Dentro a queste circolarità ti ci puoi perdere a comprenderne il suo
significato..dallo zen a tutte le altre filosofie orientali..ma il jazzista non
è un uomo di cultura in senso stretto o perlomeno non gli viene richiesto di
esserlo.
Il jazzista è uno che affronta la vita con coraggio ed in questo io mi ci
riconosco a pieno.
Da quando lo "suoni"?
Non so rispondere a questa domanda.
Ho capito che facevo jazz quando ho incontrato il jazz, ma lo facevo da prima
senza sapere che si chiamava jazz.
Ufficialmente nel 1983 attraverso il teatro danza e la danza jazz che ho anche
insegnato.
Ma prima io suonavo per strada a Milano..in Sardegna..a Parigi..e in giro dove
la vita mi portava, e per strada l'improvvisazione era la base delle mie
performance,ma non lo chiamavo jazz, lo chiamavo "teatro"...si teatro.
Ho una concezione del teatro nel suo significato più antico.
La scena, la performance, è sempre teatro se lo si considera come evento che ti
pone di fronte all'azione creativa.
Il momento creativo che condividi con un pubblico, che sia musica o danza o
recitazione, è sempre scena teatrale, è sempre l'attore, l'"ipocrites", che
nella
scena "profetizza" come un mistico e incanta, se ne è degno.
continua....
Perché, secondo te, rimane un sound per pochi o comunque
una minoranza?
Guarda, meglio che resti così.
E' come quando l'uomo bianco scopre che nell'Amazzonia vive una tribù
sconosciuta al mondo moderno...tempo poco la contaminano e muoiono tutti di
influenza o peggio gli portano un bel computer e si collegano a Facebook.
Perdonami il mio desiderio di salvare almeno qualcosa dalla pattumiera del mondo
"civile".
Comunque il motivo è banale, non ci sono occasioni perché la gente possa
ascoltarlo.
Io ricordo la tv in bianco e nero fine anni '60, primi'70 e regolarmente ogni
settimana c'era un concerto jazz in prima serata.
Allora glissando la tua domanda dovrei rispondere a quest'altra domanda: perché
non ci permettono di fruire del jazz? Perché in questa epoca, che ormai grazie a
Dio è giunta alla fine, è stato rifiutato il pensiero qualsiasi esso fosse.
Se pensi sei uno sfigato e quindi magari ti laurei pure più tardi...magari ti
laurei più
tardi perché la notte andavi a suonare jazz e quindi c'hai messo di più ma hai
acquistato altro..sei un uomo migliore.
No, conta solo quando ti sei laureato e se prima è meglio che dopo.
Chi sei non interessa ed il jazz invece ti obbliga proprio a raccontarti. Noi
jazzisti o artisti in genere abbiamo speso molto tempo dietro a cose "inutili"
per questa società.
Io ad esempio andavo di notte con la chitarra nei boschi a suonare i suoni della
natura...a chi può interessare questa ricerca?..a pochi.
Detto questo sono sicuro che se ci fossero occasioni, come ad esempio fare
incontrare il jazz agli studenti delle scuole superiori e anche medie inferiori,
sono sicuro che imparerebbero ad apprezzarlo e lo ricercherebbero poi fuori nei
festival e nei locali.
Si ama solo ciò che si conosce.
Perché le iniziative (festival ecc.) sono spesso elitarie, di nicchia..quasi
snob?
Non sono così..almeno non quei festival dove il jazz è veramente buono.
Giusto!...meglio precisare una cosa che pare una banalità: non basta dire jazz
per garantire che si faccia del buon jazz o addirittura che si faccia del jazz.
Mettiamo questa regola: dove c'è puzza di snob, dove c'è un atteggiamento ad
escluderti sicuramente lì non fanno del buon jazz.
Il jazz, lo ricordo, è una musica nata per essere ballata, quindi adatto
all'incontro, tutto il contrario degli ambienti elitari.
E' auspicabile la più ampia diffusione?
E' auspicabile se si vuole rimanere attaccati al mondo..e non intendo al mondo
dei paesi più industrializzati che vedono oggi la crisi dei loro valori.
Mi riferisco a rimanere attaccati alla storia dell'uomo.
L'Africa che unisce la sua cultura a quella occidentale passando da un'influenza
tribale locale come quella degli indiani d'America e ad un tocco di
contaminazione da parte delle culture provenienti dalle giungle del centro
America da cui poi la
bossanova...questo è il jazz: contaminazione culturale.
Ora tu dimmi, cara Franca, se non ci vedi un messaggio per questa povera Italia
che ancora annaspa tra muri da ergere e barricate da abbattere proprio sulla
questione immigrazione, per il timore di perdere le proprie radici culturali con
il
rischio, come già diceva Leopardi su di un famoso studio sugli usi e i modi
degli italiani (Dei costumi degl'italiani. Giacomo Leopardi), che ogni chiusura
al nuovo e al diverso dà come risultato la morte di quella società.
Aprirsi per mantenersi e non per disperdersi.
Il jazz è sicuramente garanzia di apertura culturale.
E' un linguaggio accessibile ai più?
I linguaggi sono tutti da imparare e all'inizio si fa fatica ma poi ci
permettono di comunicare con più persone e quindi di avere più possibilità nella
vita. Si devono
vincere delle resistenze e dei pregiudizi.
Il jazz è come la cioccolata per un bambino, all'inizio è solo un pezzo scuro
poco rassicurante, poi la mangia e dice...buona!
Franca Corradini