“Polifonico”, in caduta libera il livello della manifestazione
di Roberto Casi
Don Vittorio, il coordinatore di questo giornale mi ha fatto come si dice una ‘ramanzina’:….ma come, c’è stato il Polifonico e tu non mi hai fatto neanche un articolo? (Polifonico, così in breve ormai si chiama la rassegna aretina internazionale, anzi in concorso di canto corale “Polifonico” appunto). Giusto. L’articolo lo faccio subito, tanto non c’è molto da dire su di un concorso in caduta libera per quanto riguarda il livello qualitativo artistico e organizzativo.
Senza tenere di conto che anche i concerti di apertura sono scadenti e molte volte non hanno niente a che vedere con la “polifonia”. Qui forse c’è bisogno di una precisazione: cosa si intende per “polifonia”? Polifonico non è tutto ciò che suona insieme, cioè non è sufficiente eseguire linee melodiche diverse contemporaneamente per parlare di polifonia; questa è una risposta fisica dell’evento sonoro, non artistica. La “Polifonia” ci riporta ad uno “stile musicale” collocato in un preciso periodo storico (XV e XVI secolo) e a tutte quelle composizioni che, anche se composte successivamente fanno esplicito riferimento a quel periodo. Mi ricordo anche di un concerto di apertura nell’anniversario della morte di Monteverdi (1993), dove un’infelice trascrizione per strumenti aveva ridotto a suoni senza emozioni alcuni bellissimi madrigali presi dai libri IV e V ( se non ricordo male) di Monteverdi.
Non so se mi sono spiegato: furono eseguiti con strumenti soli i madrigali di Monteverdi scritti come si sa per voci sole. Monteverdi non è Palestrina. La trascrizione di una Messa di Palestrina è forse un po’ azzardata ma possibile; la parte musicale in Palestrina prevale sul testo (è chiaro che le parole nelle messe sono tutte uguali, bisogna che almeno cambi la musica); per Monteverdi invece vale l’esatto contrario: la musica asservita al testo,
dato che i madrigali sono tutti con testi profani e scritti da grandi poeti, quali: il Tasso, il Guarini, il Rinuccini. Tutto questo per dire che proporre una trascrizione per strumenti di un’opera per voci, di Monteverdi, ad un concorso canoro è come disputare il ‘Giro d’Italia’ nel circuito di Monza: si può fare, ma che senso ha?
Quest’anno la serata di apertura era affidata ad un gruppo “I Menestrelli” (o qualcosa del genere). So che sono costati poco ( se nove milioni sono poco) e questo forse dovrebbe servire come giustificazione della serata poco esaltante. Hanno presentato un programma di musica Medievale: poco a che vedere con la polifonia.
Vi ricordate la rassegna la rassegna internazionale degli atti unici organizzata dal Piccolo Teatro ad Arezzo? Cosa è rimasto? Prima una ‘povera’ rassegna di teatro popolare, e poi è finita come tante altre cose in questa città. Credo che il “Polifonico” stia seguendo lo stesso percorso e la stessa fine.
Vorrei concludere questa riflessione rispondendo a chi in questo momento mi considera un inguaribile pessimista, con una frase del regista cinematografico Carlo Bragaglia:”…io sono pessimista nei confronti della realtà, ma ottimista nei confronti della speranza”.
TOSCANA OGGI settembre 1998
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